Teatroterapia d’Avanguardia nel Carcere di Bollate

"Ed essere imperfetti nella perfezione scenica"

Carcere 2015

Per la prima volta la Teatroterapia entra in carcere e questo accade all’interno della Casa di Reclusione di Milano Bollate. Un lavoro in sinergia tra l’Associazione Culturale Teatroterapia “TeatroInBolla” del fondatore  Salvatore Ladiana e l’Associazione Viola di Milano presiedeuta dalla dott.ssa Grazia Arena. Un laboratorio di Teatroterapia sempre aperto a nuovi innesti (iniziato il 24 gennaio 2015 e terminato il 18 aprile 2015), strutturato in dodici incontri settimanali dalla durata di due ore, che si è svolto nel suggestivo teatro situato all’interno della Casa di Reclusione di Bollate. Un gruppo nutrito di detenuti che non si è risparmiato nel lavoro con il corpo, mettendosi continuamente in gioco con un approccio introspettivo ed emotivo senza precedenti.

Il laboratorio condotto dal Teatroterapeuta Salvatore Ladiana, è stato un vero e proprio successo e lascerà un vuoto incolmabile per tutti i partecipanti. Proprio partendo da quel “vuoto” che si potrà procedere ad un vero e proprio processo evolutivo e di maturazione individuale, che sarà utile nel relazionarsi con gli altri all’interno della struttura carceraria. L’innovazione di questo laboratorio è stata la presenza all’interno del gruppo di lavoro, di Vittoria Rossini (Counselor filosofica e co-fondatrice dell’Associazione TeatroInBolla). Unica presenza femminile che è riuscita a regalare equilibrio e creatività, senza mai rompere la coralità espressiva del gruppo e quindi la sua stessa efficacia.

L’approccio della conduzione è stato assolutamente morbido e ricettivo pur non tralasciando i momenti di rispetto delle regole del gruppo e senso di disciplina teatrale, intesa come arte della conoscenza e della ri-scoperta. “Non sapevo cosa aspettarmi” (esordisce M.G. 57 anni), “pensavo dovessi recitare, e invece è stato tutto diverso. Non si è recitato ma si è improvvisato ognuno a suo modo, lavorando per sé ma in armonia col resto del gruppo. Tutto è diventato un ingranaggio, ogni dente si inseriva nell’altro facendo girare questo ipotetico orologio strano, ma estremamente preciso e soprattutto bello!”.

La ricerca della bellezza attraverso i rispettivi linguaggi corporei, è stato il leitmotiv di tutto il percorso, dove ognuno ha rimescolato e tirato fuori emozioni, paure, gioie e dolori. Stupore e meraviglia hanno assecondato il lavoro. “Mi aspettavo un percorso di rivisitazione critica dei reati commessi” (aggiunge A.M. 36 anni), “invece nel laboratorio di Teatroterapia ho ritrovato me stesso e la capacità di socializzare con i propri compagni di gruppo, nonostante non avessi mai scambiato qualche parola in passato, o addirittura nemmeno salutato, all’interno delle Sezioni”. Il processo di trasformazione è uno degli obiettivi di un laboratorio di Teatroterapia. Si può cambiare? Si. “Mi sono sentito in pace con me stesso e con gli altri” (sottolinea E.A. 55 anni), “al punto di riuscire a fissare negli occhi, anche chi mi aveva fatto uno sgarbo e quindi perdonare”. Il successo di una conduzione sta nella “vocazione” verso l’atto creativo anche e soprattutto in spazi difficili. “Salvatore Ladiana è una persona meticolosa, ma di cuore” (aggiunge entusiasta F.S. 46 anni), “sa che ognuno di noi, dentro ha qualcosa da dare, e lui lo sente, ti capisce e ti aiuta a vomitare fuori tutto. Vittoria Rossini, integrata all’interno della Bolla, si è sentita subito una di noi, anche perché non l’abbiamo vista come una <donna>, ma come Amica, una delle tante bolle colorate alla ricerca di sé stessi” Il processo di trasformazione è lungo e  con non poche sofferenze, ma la forza di un gruppo può divenire il vero e proprio elemento catalizzatore per arrivare all’obiettivo prefissato. “Sono cambiato nello stato d’animo” (riflette G.C. 49 anni), “e nel modo più riflessivo nel pensare. Nelle decisioni sono più ponderato ma determinato nell’immediato. Sono ora capace di dire si o dire no, nella massima serenità e sicurezza di me stesso”.

L’abbattimento della finzione e dell’autocritica e soprattutto il non dover giudicare, sono stati elementi fondamentali per la riuscita del percorso di Teatroterapia, specie in un contesto come quello carcerario. “Nel gruppo mi sono trovato molto bene” (aggiunge M.S. 60 anni), “e ciò sin dal primo incontro, nonostante fossi arrivato a corso già iniziato. E’ stato molto bello cominciare a <giocare> con altre persone, senza mai avere avuto la sensazione di essere da questo in qualche modo giudicato”. Gestire le proprie emozioni, veicolare la rabbia e i tormenti verso strade più fertili e terapeutiche come l’atto creativo. Muoversi ed essere consapevoli delle proprie potenzialità anche e soprattutto attraverso gli errori commessi, e viverne con più consapevolezza attraverso la bellezza della propria espressività corporea ed emotiva. “Ho saputo mettere a nudo le mie emozioni” (riprende F.S. 46 anni), “Ho pianto senza vergognarmi in quel teatro. Ho imparato a relazionarmi meglio ed a lasciarmi coinvolgere ma con controllo. Ho imparato che i veri forti sono quelli che capiscono di aver bisogno di aiuto e che imparano a chiederlo. Spero davvero, anche fuori dall’ambito carcerario, di potere rincontrare Salvatore e Vittoria e di ripetere questa straordinaria avventura”. Un laboratorio che ha insegnato a tutti, detenuti ed operatori. La fatica e la gioia sono state sempre in simbiosi durante questi quattro mesi di lavoro. Il voler sperimentare e cercare la perfezione scenica attraverso le nostre imperfezioni, è stata la mission di Salvatore Ladiana e Vittoria Rossini con risultati davvero sorprendenti. Arrivare alla consapevolezza di essere e di esistere in un contesto come quello carcerario, probabilmente è stato il vero ed insindacabile traguardo di tutto il percorso. “La vita è come una partita di carte. C’è chi vince….chi perde……chi va liscio…..Per quanto mi riguarda, vincere no…perdere neppure….liscio neanche….Qui, in questo laboratorio ci sono…..Si. Ci sono. Diciamo che ci sono! (M.A. 44 anni)”.

Carcere 2019-20

In progress

Teatroterapia in carcere

(di Aurora Zibaldi)

Dove: carcere di Bollate – Settimo Reparto Protetti – persone che hanno commesso reati di violenza verso la Persona

Quando: novembre 2019 – febbraio 2020, il sabato pomeriggio per 2 ore

Chi: un gruppo di 10 – 18 detenuti e tre professionisti: Salvatore Ladiana, Marsil Yakoub e Aurora Zibaldi (di cui, a rotazione, uno conduceva il laboratorio e gli altri partecipavano nel gruppo)

Cosa: laboratorio di Teatro Terapia

Obiettivo: lavorare sul Sé, sui propri confini fisici, sui limiti che ci differenziano dall’Altro, sull’incontro con il Sé e con l’Altro, nel reciproco rispetto

Entrare in carcere porta ad essere fuori dal tempo e dallo spazio. Ci si ritrova in un luogo parallelo alla realtà, dove orologi appesi alle pareti segnano tutti un’ora diversa l’uno dall’altro, se non hanno le lancette immobili. E dove i corridoi lunghi e asettici, nonostante adornati da dipinti, con le sbarre alle finestre fanno percepire, ancora di più, al forestiero che li percorre l’isolamento dall’esterno.

Era la prima volta che entravo in carcere, l’impatto è stato forte, ma sempre con occhi curiosi e sorpresi.

Il primo incontro del laboratorio ci siamo ritrovati nel teatro seduti in cerchio con un gruppo di detenuti che si aspettava di recitare.

Nella Teatro Terapia d’Avanguardia che portiamo come Associazione TatroInBolla non si recita un copione, un personaggio, no … (sarebbe stato tutto più semplice, come alcuni di loro ammettevano ad ogni incontro). Attraverso le tecniche teatrali e dopo un training preparatorio, si porta in scena sé stessi, le proprie esperienze di vita, le proprie emozioni e come un gesto catartico tutto il vissuto prende una nuova connotazione dentro di sé.

Il setting di lavoro è protetto: c’è sospensione di giudizio reciproco.

Avviene un incontro tra individui, al di là del vissuto personale, al di là dello stato in cui si è, in libertà o in detenzione, al di là delle proprie responsabilità e dei reati presunti o reali. Tutti si è sullo stesso piano. Detenuti e operatori. È un incontro di anime che riescono a dialogare perché fanno emergere il proprio lato reale e profondo. Due o tre operatori e operatrici mischiati ai partecipanti hanno tutti condiviso la propria storia fatta, allo stesso modo, di paure, di dolori, di emozioni, di rinunce, di rabbia, di rimpianti, di incomprensioni, di amori, di gioie. Hanno condiviso lacrime, sorrisi, risate, successi e insuccessi.

Queste sono le unicità del teatro.

La democraticità intesa come uguaglianza universale tra gli esseri umani.

La verità della vita è irruente e non può essere arginata.

Il rivivere un episodio, un incontro con persone amate o odiate, esternare un ricordo od un fardello emotivo permettono un lavoro introspettivo individuale molto profondo che non può fare altro che portare a consapevolezza parti di sé. Questo avviene soprattutto per l’unicità del percorso che si fa durante la Teatro Terapia: si lavora sul corpo, il quale non mente e non indossa maschere, ma si palesa per quello che sinceramente sente, e si arriva solo in seguito al piano emotivo. In questo modo anche l’interazione con l’Altro è sincera, non architettata o imposta.

Alla fine di ogni incontro attraverso la messa in scena dell’atto creativo si arriva a sublimare il proprio vissuto in una performance da donare agli altri partecipanti: ognuno diventa prima non-attore e poi spettatore. Dopo aver incontrato l’Altro nel setting di lavoro, ci si mette in ascolto del suo vissuto. Questa è la forma più alta di rispetto nell’incontro. Coloro i quali in libertà o nella loro quotidianità hanno probabilmente violato i limiti che l’Altro imponeva si ritrovano a stare nell’osservazione, nell’ascolto e nell’apprezzamento dell’Altro. Questo costituisce un nutrimento per qualsiasi individuo ne faccia esperienza.

Sono entrata in carcere per fare un percorso come teatro terapeuta e con la banale presunzione di fare del bene a chi avrei incontrato.

Sono uscita ogni sabato alle ore 17.30 arricchita dall’incontro di persone e di vite che avevano lo stesso valore della mia persona e della mia vita.

In questo consiste la magia del teatro: uscire dalla finzione per far emergere l’essenza.

Devo anche sottolineare come in quanto donna tra uomini che hanno anche violato il corpo femminile, non ho mai ricevuto un gesto che fosse non rispettoso. Negli occhi di quegli uomini che si rispecchiavano nei miei di donna ho ritrovato un misto di commozione, rispetto, imbarazzo, come se guardassero l’archetipo femminile, come se ci fosse veramente la connessione con qualcosa di profondo che va oltre la fisicità e che questi fossero attimi terapeutici per loro. Questo è il valore aggiunto del setting.


L’omme nunn’è omme se nu ‘ffà nu passe arrete

Eduardo De Filippo


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